Uno studio analizza il rapporto tra media e terremoti: tanto sensazionalismo, pochissima scienza. Prevenzione e ricostruzione non fanno notizia.
Quasi tutto quello che buona parte degli abitanti della terra sa dei terremoti viene dai media. Internet, tv, radio, giornali sono determinanti nel formare l’opinione pubblica sul rischio sismico, e influiscono quindi direttamente sulle scelte della società anche sulla prevenzione. Il lavoro dei media è un servizio pubblico fondamentale anche per questo: non tutti hanno il tempo e le basi per prepararsi su difficili concetti scientifici.
Ma il lavoro dei media così come è oggi consente ai cittadini di farsi un’opinione accurata?

Se lo è chiesto un gruppo di ricercatori delle Università di Parigi e Rouen. Il team ha analizzato più di 320 mila notizie sui terremoti pubblicate in tutto il mondo nel 2015 in tre lingue: inglese, francese e spagnolo. Purtroppo la risposta è proprio quella che sicuramente, tra gli addetti ai lavori, ci si aspetterebbe: no, c’è qualcosa che non va. Il bisogno di “fare notizia”, basato sull’emotività e sull’istante, non permette una comprensione approfondita dei fenomeni.
Ma al di là dell’esito, lo studio permette di capire di più su come funziona la “notizia terremoto”. Vediamola.
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Spazio a pochissimi
Tanto per cominciare, la “soglia dell’attenzione” mediatica, almeno se lontani dall’epicentro, è parecchio alta. E’ perfettamente comprensibile che i terremoti più forti ottengano più attenzione di quelli deboli, ma le proporzioni lasciano a bocca aperta. Nel 2015 ci sono stati 1559 forti terremoti, ma quasi tutta l’attenzione è dedicata ad appena tre sismi. Il terremoto del 25 aprile in Nepal, che ha ucciso oltre novemila persone, vale da solo per il 59,7%). Se ci sommiamo il sisma di Ilapel (Cile), che ha provocato poche vittime ma innescato un allarme tsunami, e quello dell’Hindu Kush, tra Afghanistan e Pakistan arriviamo a quasi i tre quarti del totale delle notizie. Gli altri 1500 sismi devono dividersi il restante 28,4%.
Appare evidente che per fare la “notizia terremoto giocano almeno tre fattori: il numero delle vittime, la magnitudo e la distanza dal luogo di pubblicazione o dal vissuto del pubblico.
Il Nepal è lontano, ma è un paese turistico e molto conosciuto in occidente. Anche di Pakistan e Afghanistan, non c’è dubbio, è un paese di cui per altre ragioni sentiamo spesso parlare.
Il “segreto” del terremoto in Cile, invece, è nell’allerta tsunami, poi in gran parte rientrata, ma capace di stimolare immaginario e paure collettive come ben poche altre cose.
solo il 5% delle notizie parla di ricostruzione
Attenzione a breve termine
Che sia disastroso o no, nel tempo la copertura mediatica segue sempre la stessa curva. Un’impennata delle notizie, e un oblio quasi altrettanto rapido. E qui, secondo i ricercatori, sta uno dei problemi più gravi.
Se si parla di terremoti solo durante l’emergenza, infatti, c’è tanto spazio per l’emotività e per il sensazionalismo e pochissimo per la riflessione. Si fa strada quindi una percezione distorta: il terremoto sembra un evento fatale e istantaneo, e non la conseguenza di lunghi processi geologici. Risulta anche difficile immaginare che qualcuno si occupi di terremoti anche in tempi “di pace”: ci si accenna certo, ma nulla più.
I contenuti delle notizie
L’analisi dei contenuti delle notizie conferma questa situazione: Il 77% delle volte si parla di vittime e rischi immediati, come scosse “di assestamento” e tsunami, mentre solo il 5% delle notizie parla di ricostruzione.
Parlando di vittime, il numero dei morti tiene banco su quello dei feriti e sulle enormi difficoltà pratiche delle popolazioni colpite, a confermare che spesso si cerca di attirare l’attenzione più che approfondire.
Qualche giorno dopo la scossa principale trovano spazio per le storie di singoli, e anche le riparazioni d’emergenza e le prime operazioni di messa in sicurezza. I soccorsi sono ben rappresentati (meglio se frutto di solidarietà internazionale), ma, di nuovo, di ricostruzione e pianificazione si parla poco o nulla. Con questo meccanismo, denuncia lo studio, non c’è spazio per parlare di strategie di mitigazione del rischio sismico.
La breve finestra per i contenuti scientifici
Normalmente, i sismologi sono interpellati soprattutto “a caldo”, e gli si chiede soprattutto di parlare di magnitudo: una sorta di “punteggio” da attribuire a un terremoto, tanto immediato quanto ingannevole se non c’è modo di approfondire. In questo momento, soprattutto, c’è gran concorrenza di contenuti e come al solito la scienza passa in sordina. Uno dei concetti più difficili da comunicare, scrivono gli autori, è che le singole scosse non sono eventi a sé ma parte di una crisi sismica articolata nel tempo, un tempo molto più lungo di quello della diretta.
Se si parla di terremoti solo durante l’emergenza c’è tanto spazio per l’emotività e per il sensazionalismo e pochissimo per la riflessione.
Queste “finestre” dedicate ai contenuti scientifici sono poche, conclude lo studio, ma sono una delle pochissime opportunità di scalfire una narrazione sensazionalista. Sfruttarle al massimo e in maniera intelligente è necessario per ribaltare il rapporto tra media e terremoti, spostando il peso dalle emergenze alla prevenzione, e facendo passare l’idea che i terremoti vanno capiti nei tempi lunghi e non nell’istante.
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