L’ultimo libro di Robert Macfarlane, viaggiatore, alpinista e professore a Oxford, è un viaggio poetico e disturbante tra i segreti del sottosuolo.
“Perché andare giù? E’ un’azione controintuitiva, in controtendenza rispetto alle inclinazioni della ragione e dell’anima”. Sin dalle prime righe di Underland, un libro insolito e suggestivo a metà strada tra il libro di viaggio, il saggio e la geologia, l’autore mette in chiaro che non sarà una passeggiata.
Edito in Italia da Einaudi con la traduzione di Duccio Sacchi, Underland ha entusiasmato critica e pubblico anglosassone: per molti media figura tra i dieci libri più belli del 2019. Il Guardian lo inserisce addirittura nella lista dei 100 titoli più belli del 21° secolo.
Non sarà una passeggiata, dicevamo, perché andare sottoterra vuol dire quasi per definizione affrontare un viaggio anche simbolico, emotivamente carico di significati così densi e radicati nella nostra cultura che è difficile anche solo parlarne senza evocarli.

Ma alla paura, alla ripugnanza addirittura, tradizionalmente assegnata al mondo degli “inferi”, a un universo sotterraneo, oscuro, sepolto, Macfarlane contrappone un’attrazione fatale.
Perché se scavare metaforicamente dentro di sé, sotto la superficie delle cose, ci può dare risposta agli interrogativi più assillanti, esplorare fisicamente il sottosuolo potrà svelarci l’intimità del nostro pianeta.
E’ tutto su questo parallelismo tra simbolico e fisico, geologico, che si snodano le esplorazioni sotterranee dello scrittore inglese in un libro che è, in primo luogo, il racconto di una straordinaria avventura.
Dalla Groenlandia al ventre di Parigi
Si inizia nella nativa Gran Bretagna, nelle rocce carsiche dei Mendip Hills, e si prosegue in luoghi familiari per noi italiani: il Carso, con le sue drammatiche vicende storiche, le trincee della Prima Guerra Mondiale e le foibe della Seconda, ma anche (ed è uno dei capitoli più suggestivi del libro) il Timavo, il fiume che scorre sepolto nel Carso e sfocia a Duino.
Per Macfarlane non c’è distinzione tra le grotte naturali e quelle scavate dall’uomo, e così non c’è stacco tra le Catacombes l’intricato labirinto di sepolture e cunicoli quasi speculare alle vie della città di sopra, e i mulini glaciali della Groenlandia, dove il cambiamento climatico scava e perfora antichissimi ghiacciai.
C’è spazio per i depositi di scorie nucleari e i laboratori di fisica all’avanguardia, sepolti dentro miniere a centinaia di metri di profondità, che obbligano il lettore a chiedersi cosa resterà dell’umanità con il trascorrere dei lunghissimi tempi geologici.
Una geologia diversa
La geologia è il filo che percorre tutto il libro, ma è una geologia diversa, piena di suggestioni ma anche concreta. Concreta come può esserlo un alpinista che è abituato a valutare la roccia alla quale affidarsi, la falesia franosa o il crepaccio da cui tenersi a bada. In Underland troverete la spiegazione più suggestiva di cosa può essere un calcare, costituito da esseri viventi e luogo privilegiato di sepolture, la descrizione esatta dell’esarazione glaciale o del consolidamento in una miniera di sale.
Ma il linguaggio non potrebbe essere più distante da quello di chi di solito scrive di geologia:
“Raramente mi sono sentito così lontano dal regno umano come quando mi sono trovato appena una decina di metri sottoterra, prigioniero delle fauci scintillanti di un piano di stratificazione calcareo formatosi sul fondo di un antico mare”.
Il tempo del libro è il quello del sottosuolo, cioè il tempo profondo della geologia. Il “vertiginoso periodo di storia terrestre che ci separa dal momento attuale”, un tempo smisurato tanto nel passato quanto nel futuro, e che inizia a imporsi nell’opinione pubblica con le discussioni sull’Antropocene.
Raramente mi sono sentito così lontano dal regno umano come quando mi sono trovato appena una decina di metri sottoterra
“
Libri poco umani
Underland è l’ultimo di un ciclo di libri che Macfarlane che Macfarlane ha dedicato al nostro pianeta. Un lunghissimo percorso in discesa, partito da Le Montagne della Mente, storia non tanto di come l’uomo ha esplorato la montagna ma di come ne ha scoperto il fascino, e si è poi tenuto su quote più basse con Le Antiche vie e Luoghi Selvaggi.
Una nuova generazione di scrittori cerca di costruire libri un po’ meno antropocentrici. Macfarlane è uno di questi.
Nei libri di Macfarlane l’uomo è tutt’altro che assente, ma non ha necessariamente un posto privilegiato rispetto a quelle del pianeta. Una vera rarità in letteratura.
Raccontare il tempo profondo, finora, è stato praticamente impossibile per gli scrittori fermi a storie cucite su trame soltanto umane. E questo può avere gravi conseguenze, come renderci incapaci di comprendere fenomeni epocali che ci avvengono davanti agli occhi, ad esempio la crisi climatica. O almeno è quello che succede secondo lo scrittore indiano Amitav Ghosh, il cui libro La Grande Cecità è diventato ormai un classico per chi si preoccupa della pericolosa assenza della geologia
Fortunatamente una nuova generazione di scrittori (il più famoso è forse oggi l’americano Richard Powers) cerca di costruire romanzi un po’ meno antropocentrici. Macafarlane è sicuramente uno di questi. Ma i suoi libri non sono romanzi, sono dei saggi e dei libri di viaggio. Approfonditi, scientificamente accurati, nonostante la scienza sia per l’autore uno strumento e non il nocciolo del discorso. Ricchi di spunti e collegamenti anche per chi la geologia la conosce già, anzi, forse proprio geologi e scienziati potrebbero, grazie a questo libro poetico, rivedere il loro lavoro sotto una nuova luce.