Dal Triassico a Google maps: un viaggio virtuale sulle Dolomiti

Dopo il Lago di Garda e quello di Bracciano, un altro viaggio virtuale alla scoperta delle Dolomiti delle valli di Fiemme e Fassa. Parte 1.

Divise da passi e valli profonde, separate da altre montagne di tutt’altro aspetto e abitate da gente che pensa in almeno quattro lingue diverse, le Dolomiti sono più un’idea che una catena montuosa. Ma che idea: montagne che condividono le stesse forme – crode e torrioni aguzzi e frastagliati, immensi ghiaioni, pareti verticali di roccia chiara alternate a dolci pendii sede di verdissimi pascoli – che gli hanno dato un’identità inconfondibile. Un’identità basata sulla geologia.

Le Dolomiti sono un libro aperto su un pezzo di storia del nostro pianeta e anche un pezzo della storia della geologia stessa. Negli ultimi due secoli e mezzo, infatti, scienziati di tutta Europa, insieme a cercatori di cristalli e di fossili, sono accorsi incessantemente su queste montagne, alimentandone l’economia e dandogli persino il nome.

Perché è il minerale dolomite, si sa, a dare il nome alle montagne in cui abbonda e non il contrario, come avviene normalmente nel resto del mondo.

Patrimonio UNESCO dal 2009, le rappresentano, con un grado di conservazione eccezionale, il periodo che va dalla fine del Permiano a tutto il Triassico. Tempi cruciali per la storia della Terra, segnati dalla più grave estinzione di massa conosciuta, cambiamenti climatici e sconvolgimenti tettonici, ma anche dalla comparsa di un gran numero di nuove specie.

Con questo curriculum alle spalle, le Dolomiti hanno molto ha da insegnare riguardo al passato ma anche alle presenti e future trasformazioni della Terra e non c’è da sorprenderci che siano ancora tra le montagne più studiate dai geologi di tutto il mondo.

Per farci un’idea di quello che è successo in questa fase essenziale della storia della Terra proviamo ad analizzare i gruppi montuosi che via via incontriamo risalendo dalle valli di Fiemme e Fassa fino alla Marmolada, la “regina delle Dolomiti”.

Lagorai, vulcani prima delle Dolomiti.

Nota per essere una delle catene più selvagge del Trentino, la catena del Lagorai ci accompagna sulla destra lungo tutta la Val di Fiemme, ma diventa più imponente e aguzza nel suo tratto finale, all’altezza di Predazzo.

Queste montagne sono fatte in gran parte di “porfido” (tecnicamente un’ignimbrite riolitica), cioè una roccia vulcanica prodotta da violentissime eruzioni, sotto forma di colate piroclastiche, avvenute circa 280-260 milioni di anni fa.

Le eruzioni della “Piattaforma Vulcanica Atesina” hanno ricoperto un’area che va più o meno dall’odierna Bolzano alla Valusgana (ma all’epoca era una regione vicino alla costa della Pangea) le valli con spessori spesso superiori ai 1000 metri. E’ questo il basamento su cui poggeranno le Dolomiti trentine e altoatesine, ancora di là da venire. Nel Lagorai però sono queste rocce ad affiorare: si riconoscono perché di colore scuro, ricche d’acqua, laghi e cascate, mentre forme aguzze sono dovute all’azione di antichi ghiacciai.

Il Latemar, atollo perfetto.

Sulla sinistra, all’altezza di Predazzo, compare il primo massiccio delle Dolomiti vere e proprie. La sua forma è così caratteristica che può essere usata per spiegare tutta la prima parte della storia delle Dolomiti. Siamo nel Triassico inferiore (240 milioni di anni fa), e al posto della Pangea c’è adesso un mare poco profondo, caldo, ricco di vita. Il Latemar è una scogliera tropicale: in parte emersa, in gran parte a pelo d’acqua. Un ambiente simile alle odierne barriere coralline, con la differenza che di coralli, in questo periodo, ce n’erano poco o nulla.

Mentre la zona di vetta era un fondale di mare basso, sui versanti si riconoscono, oltre alle frane odierne, segni di frane sottomarine (tecnicamente: slump). I fianchi della montagna corrispondono quindi alle antiche scarpate delle scogliere. L’eccezionalità geologica delle Dolomiti è proprio questa: quando sono nate le Alpi (molto tempo dopo) questa zona si è sollevata in blocco, lasciando quasi intatta la geografia del Triassico.

Il Latemar è fatto quasi esclusivamente di rocce calcaree: rocce, cioè, nate dall’accumulo dei gusci di organismi di un mare ricchissimo di vita. Di dolomite e dolomia (li vedremo in seguito) ancora non c’è traccia.

Nuovi vulcani all’orizzonte

A destra, intanto, proprio sopra Predazzo, è sorto un monte ricoperto d’erba e di boschi (oggi in gran parte abbattuti dalla tempesta Vaia). E’ il monte Mulàt, uno dei resti dei nuovi vulcani che, mentre si formavano le isole che sarebbero diventate le cime dolomitiche, imperversò nell’area. E’ il vulcanismo ladinico. Le Dolomiti, anche se in gran parte sedimentarie, sono infatti tagliate da filoni vulcanici, mentre alcune montagne (un po’ più a nord troveremo i Monzoni e la Crepa Neigra) sono fatte tutte di materiale magmatico. E’ proprio qui che si trovano i minerali più famosi delle Dolomiti: geodi di quarz, heulandite, granati, “Fassaite”, prehnite, vesuvianite. Anche le rocce del Latemar sono solcate da filoni vulcanici dello stesso periodo.

Catinaccio, il regno della Dolomia

Siamo ormai entrati in Val di Fassa, nel cuore delle Dolomiti. Sulla sinistra compaiono le incredibili geometrie del Catinaccio – Rosengarten. Questo gruppo montuoso comprende alcune dei luoghi più famosi di tutte le Dolomiti, come le Torri del Vajolet, che hanno fatto la storia dell’alpinismo, e il minuscolo lago d’Antermoia a quasi 3000 metri di quota.

Come il Latemar, anche il Catinaccio era in origine un atollo, ma molto più grande e frastagliato. Anche qui, osservandolo da lontano, dal Passo Costalunga sulle cime di Majaré e dalla Val di Fassa guardando la Val Gardena, è possibile osservare gli antichi piani della scarpata che connetteva l’atollo ai fondali marini.

Il Catinaccio è il regno della dolomia, cioè la roccia fatta prevalentemente di cristalli di dolomite. I cristalli più tipici di dolomite hanno l’aspetto di aggregati di piccoli cristalli bianco brillante mentre la dolomia è grigio chiara o nocciola, qualche volta tendente al rosa. Un pezzo rotto di fresco ha qualche volta cavità e piccoli cristallini che brillano sotto il sole. Le dolomie del Catinaccio “nascono” come calcari: sono infatti costituite dall’accumulo dei gusci di organismi marini (in gran parte microscopici, ma non mancano molluschi e coralli), fatti di carbonato di calcio.

Particolari condizioni fisiche hanno fatto sì che parte del magnesio contenuto nell’acqua di mare si scambiasse con il calcio dei sedimenti. La dolomia è quindi un “calcare modificato”, magari un po’ più brillante e tendente a formare rocce più frastagliate, ma per il resto quasi identico alla sua versione originaria.

La dolomia delle Dolomiti, e soprattutto quella del Catinaccio, è famosa per riflettere i raggi del sole al crepuscolo in maniera così accesa da assumere un colore rosa o rosso acceso. E’ il fenomeno dell’enrosadira, che, oltre ad alimentare numerose leggende ladine, dà il nome tedesco al Catinaccio: Rosengarten, “giardino delle rose”.

Sassolungo: atolli di seconda generazione

Dai tempi delle scogliere del Catinaccio, però, sono passati una manciata di milioni di anni. Molte specie si sono estinte, e una serie di eruzioni vulcaniche ha modellato il paesaggio. Visto che il fondale marino continuava a sprofondare, lentamente, i gusci degli organismi marini continuavano ad accumularsi portando a una “nuova generazione di atolli”. E’ quello della Dolomia Cassiana, di cui è fatto il Sassolungo e (tra gli altri) parte del gruppo del Sella, che vedremo tra poco.

Proseguendo verso l’alta Val di Fassa, sulla sinistra appare un’altra poderosa cima dolomitica: Il Gruppo del Sassolungo. Come il Latemar e il Catinaccio, anche stavolta ci troviamo davanti a un atollo. Il Sassopiatto, sulla sinistra, è l’ennesima superficie perfettamente conservata della scarpata che univa il cuore della scogliera al fondale profondo.

Persino il Col Rodella, punto di arrivo delle funivie di Campitello, è un blocco che sembra essere franato dopo movimenti ancora difficili da spiegare.

I fossili più rappresentativi

Le dolomiti sono ricche di fossili, ma i più belli e importanti non si trovano nelle pareti rocciose. Più facile trovarli, e meglio conservati, nelle rocce che un tempo erano i freddi fondali profondi che bordavano le scogliere. La “dolomitizzazione”, infatti, faceva sì che i gusci si deformassero o sparissero del tutto. Per fortuna, una grande quantità di materiale è precipitato sul fondo, in blocchi e formazioni dove i fossili si sono conservati perfettamente. Una delle zone più ricche si trova alla base delle pareti del Sassolungo.

Bellerophon sp.: mollusco bivalve dall’inizio del Triassico (dà il nome alla “Formazione a Bellerophon), testimonia il graduale sprofondamento dei fondali in larghe porzioni della regione.

Daonella lommeli: mollusco bivalve, aveva il guscio sottilissimo ed era forse in grado di flottare nell’acqua anziché poggiare sul fondale marino. Abbonda nella Formazione di Wengen (Triassico superiore), tra la base del Sassolungo e il Passo Sella.

Fine prima parte.

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