
Molti dei conti fatti finora sui ghiacciai, e quindi su quello che avverrà se dovessero fondere, dovranno essere rifatti. È quello che sostiene un nuovo studio pubblicato su Nature Geoscience a firma di tre ricercatori del CNR francese e uno dell’Università di Irvine, California.
Utilizzando immagini satellitari aggiornate tra il 2017 e il 2018, i ricercatori hanno creato mappe regionali ad alta risoluzione della velocità con cui il ghiaccio scorre verso valle di oltre 250.000 ghiacciai, vale a dire il 98% delle aree glaciali del mondo.
Per farlo hanno applicato una tecnica finora utilizzata molto raramente l’analisi dei movimenti dei corpi glaciali. Normalmente, infatti, gli studi dei ghiacciai su vasta scala vengono effettuati soprattutto tramite rilevamenti, che permettono però di avere informazioni solo sulla superficie.
Andare in profondità permetterebbe di misurare il volume di un ghiacciaio in maniera molto più dettagliata, ma è un’operazione estremamente complicata: i ghiacciai sono situati normalmente in zone impervie e irraggiungibili, e soprattutto il substrato roccioso, irregolare, è sepolto spesso di varie centinaia se non migliaia di metri sotto la superficie.
Le misure di profondità dei ghiacciai esistono infatti per una percentuale piccolissima dei ghiacciai del mondo. Un’analisi di questo tipo a livello globale, utilizzando criteri omogenei, è un’impresa titanica.
Utilizzare il movimento dei ghiacciai permette, secondo gli scienziati, di aggirare questo ostacolo. I ghiacciai scorrono ininterrottamente verso valle con velocità variabili, da poche decine di centimetri a qualche chilometro l’anno, ed elaborando modelli matematici è stato possibile risalire a stime più accurate del volume.
E le conclusioni sono significativamente diverse rispetto alle stime finora esistenti.
“I nostri risultati evidenziano notevoli cambiamenti nelle risorse di acqua dolce”, si legge nell’articolo, “con il 37% di ghiaccio in più nell’Himalaya e il 27% di ghiaccio in meno nelle Ande tropicali del Sud America”.
Questo, spiegano, influenza di molto la disponibilità di acqua per le popolazioni local. Se in Himalaya si può tirare un parziale sospiro di sollievo, va molto peggio per l’America meridionale, dove l’acqua dolce di milioni di persone dipende direttamente dalle nevi perenni delle Ande.
Il volume totale del ghiaccio nei ghiacciai del mondo sarebbe di circa 140.000 chilometri cubici, meno di quanto stimato finora.
Gli scienziati hanno anche analizzato il contributo che i ghiacciai possono dare all’innalzamento del livello del mare. Qui c’è una parziale buona notizia: meno ghiaccio disponibile significa minor contributo all’innalzamento.
I ricercatori hanno escluso le calotte dell’Antartide e della Groenlandia, arrivando alla conclusione che se fondessero i ghiacciai restanti – quelli di montagna – il mare si alzerebbe di 26 cm, il 20% in meno delle stime precedenti.
Attenzione, però: le calotte polari costituiscono la stragrande maggioranza del ghiaccio totale presente sulla Terra, e se anche queste dovessero fondere il livello degli oceani salirebbe di vari metri.
La scoperta più importante dello studio è però forse che resta ancora un’altissima incertezza. “Le nostre stime sono più vicine, ma ancora incerte, in particolare nelle regioni in cui molte persone dipendono dai ghiacciai”, ha dichiarato Millan, uno degli autori dello studio.
Senza misurazioni dirette sul campo, la stima delle risorse di acqua dolce dei ghiacciai rimarrà incerta, soprattutto nelle zone più impervie, ma anche le più importanti, dove milioni di persone dipendono direttamente dalle nevi perenni per sopravvivere: le Ande tropicali e l’Himalaya.