
I giganti dell’estrazione mineraria si stanno organizzando per iniziare entro il 2023 lo sfruttamento di un enorme giacimento di terre rare, elementi fondamentali per i dispositivi elettronici e non solo. L’unico “dettaglio” è che il giacimento si trova a 4000 metri di profondità nell’Oceano Pacifico, con potenziali effetti devastanti per gli ecosistemi più inaccessibili e meno conosciuti della Terra. È l’inizio di una nuova “corsa all’oro” nei fondali oceanici, racconta il Guardian in un lungo articolo dello scorso 29 aprile . Una vera e propria rivoluzione per una risorsa sempre più cruciale, anche alla luce della contrapposizione sempre più dura tra Occidente e Russia e Cina, che controllano una larga fetta delle risorse tradizionali.
Ultimatum sul Pacifico
In questi giorni, scrive il quotidiano britannico, si tiene a Londra una conferenza a porte chiuse in cui i colossi minerari sperano di ottenere tutti i permessi necessari a estrarre massicciamente i noduli metallici della zona di Clarion-Clipperton, tra le Hawaii e il Messico. La scoperta di formazioni mineralizzate non è una novità – i giacimenti sono stati scoperti per la prima volta addirittura nel 1875, ma fino a pochissimi anni fa la tecnologia non prevedeva l’estrazione di metalli dai fondali profondi su larga scala. Solo recenti sviluppi nella robotica subacquea renderanno possibile, e conveniente, cominciare le attività estrattive su larga scala.
L’Autorità Internazionale dei Fondali Marini, il cui mandato è di regolare e controllare tutte le attività legate ai minerali nei fondali marini internazionali, per ora, ha concesso licenze alle compagnie per esplorare la zona, ma le regole per l’estrazione su larga scala ancora non ci sono. Ma la nazione insulare di Nauru, interessata a sviluppare la nuova industria, ha dato all’ente 2 anni per redigere i regolamenti necessari per approvare i piani di lavoro sullo sfruttamento dei fondali profondi.
Una sorta di ultimatum, che segue a oltre sette anni di negoziati finora infruttuosi, mandato dal presidente di Nauru in nome della Nauru Ocean Resources Inc (NORI), una filiale di una società canadese chiamata DeepGreen.
“Dopo anni di negoziati e false partenze, l’estrazione mineraria in acque profonde è vicina a una svolta”, si legge nella presentazione della conferenza di Londra. Ma a quale costo?
Preoccupazioni per l’ambiente
Gli attivisti ambientali sostengono che l’estrazione dei metalli sarebbe “pericolosa”, “sconsiderata” e causerebbe “danni irreversibili” a ecosistemi poco conosciuti. Dubbi sono stati espressi anche dal Parlamento europeo, diverse nazioni del Pacifico tra cui Fiji e Papua Nuova Guinea, che hanno chiesto una moratoria sull’estrazione in acque profonde, una campagna supportata, tra gli altri, da autorità in fatto di conservazione come Sir David Attenborough.
Il Guardian, che ha dedicato all’argomento una serie di articoli, riporta che una ricerca suggerisce che il 90% delle specie di acque profonde che i ricercatori incontrano sono nuove per la scienza, praticamente scavare su un altro pianeta prima ancora di averci messo piede.